«Anche se mio figlio non c’è più, non ho perso la fiducia nei confronti della ricerca. Non l’ho mai persa, perché ho assistito a un enorme cambiamento e perché, se non ci fosse stata, mio figlio non sarebbe nemmeno cresciuto. Era l’inizio degli anni Ottanta. Al Gaslini dissero che non sapevano se Matteo sarebbe vissuto e quanto sarebbe vissuto: un mese, un anno, di più? La situazione era tragica. Era il buio, totale. E stavamo a Genova. Immagina in certe zone periferiche d’Italia come poteva essere. Noi siamo stati fortunati. In reparto c’erano due giovani medici che hanno dedicato la vita alla cura di questa malattia: Laura Minicucci e Luca Romano vivevano in reparto, li trovavi a tutte le ore.
Io e mio marito eravamo sanissimi. Mai preso un antibiotico. Non capivamo. Allora non se ne parlava di questa malattia e non ne sapeva niente nessuno. Compravo giornali di tutti i tipi per cercare informazioni. Il mio pensiero è sempre stato rivolto alla ricerca.