I primi testimoni del cammino FFC. Morena Ballarini

Ph @AlfonsoCatalano/SgpItalia

I 42 anni di mia figlia dicono che la ricerca è andata oltre quello che potevamo immaginare.

«A metà degli anni Settanta, quando arrivai al Centro di cura di Verona, Gianni Mastella fu la prima persona che vidi. Per me rappresenta il simbolo di un posto dove ero andata a cercare qualcosa, un punto di riferimento importante, un faro. Il fatto che Mastella ravvisasse nella ricerca la chiave per il futuro dei malati di fibrosi cistica mi rendeva l’idea credibile e la rendeva un obiettivo da perseguire. Un tempo non c’erano aspettative. Dissero che se mia figlia fosse arrivata ai tre anni sarebbe già stato qualcosa. Quando in reparto si vedeva qualche ragazzino ci si stupiva. “Meno male qualcuno cresce”, pensavi. In realtà la ricerca la sperimentavamo senza conoscerla. Il tempo passava e vedevamo crescere i bambini. La ricerca allora funzionava!

Non tocchi con mano tutti i giorni che c’è qualcosa di nuovo, ma il fatto che la realtà ha sconfessato previsioni catastrofiche lo dicono i 42 anni di mia figlia, che contro ogni aspettativa ha trovato un lavoro, è diventata mamma, ha una vita di coppia, viaggia, vive a pieno il suo tempo. Quello che faccio ora probabilmente non servirà ai miei figli, ma nella misura in cui abbiamo potuto beneficiare dei risultati ottenuti da altri, credo sia giusto continuare a darsi da fare. La ricerca è andata oltre quello che potevamo immaginare. Dobbiamo pur continuare a crederci! Se ha fatto tanto allora, con pochissimi mezzi, dobbiamo credere che continuerà a farlo.

Darsi da fare è una terapia per chi condivide la malattia con chi ce l’ha. È un modo di sapere che puoi fare qualcosa. Questo aiuta ad avere fiducia nel futuro e a dare fiducia alle persone malate. Se io sono credibile per i miei figli, devono essere pure convinti che quanto faccio serva.
Quella di un tempo era una quotidianità diversa dal punto di vista materiale e psicologico. Si viveva con le pentole dell’acqua sempre sui fornelli; le taniche dell’acido acetico e la puzza in casa; le tendine sotto le quali tenevamo i bambini di notte (mia figlia era sempre bagnata). Se il cambiamento c’è stato bisogna continuare a darsi da fare perché non si fermi. Credo che la cosa importante di quello che facciamo, oltre a raccogliere fondi per la ricerca, è di essere la testimonianza che c’è un problema di cui bisogna prendersi carico. In più siamo, più lo facciamo in modo credibile, più rendiamo il problema comprensibile e lo portiamo all’attenzione della collettività».

Morena Ballarini, Delegazione FFC di Bologna

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