I primi testimoni del cammino FFC. Daniele La Lota

Daniele La Lota e Matteo Marzotto

La cura non l’abbiamo ancora trovata, ma siamo usciti da quella tana di silenzio e paura

«Quando l’ho conosciuta io, la fibrosi cistica era un tabù. Non c’era la più pallida idea di cosa fosse. Mi dissero che Martina aveva la mucoviscidosi. Lo raccontavo a chi avevo intorno e si faceva il segno della croce. “Non arriverà all’età della scuola”, mi dicevano. L’unica cosa che cercavo dopo la diagnosi di mia figlia era qualcosa da fare. Mi sono fatto la fotocopia dell’ultima pagina del notiziario FFC. Avevo dentro di me l’Etna in eruzione. Chiamai dopo due mesi Mastella. La telefonata durò 50 minuti. Vedevo le persone della Fondazione come quelle che avrebbero salvato mia figlia. Al primo raduno dei volontari eravamo in quattro gatti. È stato bello: ho conosciuto la mia famiglia. Oggi siamo tantissimi. La speranza è cresciuta. La cura non l’abbiamo ancora trovata, ma siamo usciti da quella tana di silenzio e paura. Abbiamo avuto il coraggio di realizzare i nostri sogni, fare cose che da singoli cittadini non avremmo mai potuto realizzare. Noi volontari, per tutto quello che facciamo, prendiamo rischi, perdiamo il sonno, ma lo facciamo per vedere guariti i nostri figli.
È stato grazie a un’informazione che ho potuto trovare una porta a cui bussare quando mia figlia di tre mesi era gravissima. A volte si muore anche per mancanza d’informazione, per questo non mi stanco di sensibilizzare le persone. Che la gente sappia cos’è la fibrosi cistica è già un risultato. Non è l’entità di una donazione che conta, ma il modo con cui viene fatta. Quello che mi auguro è che chi ancora nasconde la malattia esca allo scoperto, si dia da fare, perché non sono gli altri a dovere fare qualcosa per noi, ma noi stessi per primi».

Daniele La Lota, Delegazione FFC di Vittoria, Ragusa e Siracusa

Daniele La Lota e la figlia Martina
Martina La Lota
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