«L’apertura alla ricerca ci ha permesso di sopravvivere alla paura, alla scoperta dell’inesorabilità della fibrosi cistica. È stata prima di tutto apertura in senso clinico alle terapie nuove, forti, che si proponevano al Centro di Verona già negli anni Ottanta e di cui alcuni genitori parlavano in termini terroristici, sottraendo i propri figli al ruolo di cavia.
Grande fiducia e speranza per questo da parte nostra alla nascita, nel 1997, della Fondazione, garantita da quegli stessi eccellenti operatori che avevano fin lì accompagnato nostro figlio permettendogli di crescere, contro ogni previsione.
Alberto era davvero cresciuto, sviluppando un sentimento di sé autonomo e dalle aspettative elevate, che le qualità degli operatori con cui era da vent’anni quotidianamente in contatto sosteneva, sottraendolo al rischio di cedere alla malattia che avanzava, pur rallentata dalle terapie. La sua crescita intellettuale lo portava inevitabilmente a sottrarsi alle cure familiari che percepiva, da adulto, soffocanti; a chiedere un cambio di qualità nel rapporto. La Fondazione offrì a noi questa opportunità, di continuare a lottare perché lui trovasse risposte di ricerca, le migliori possibili, ai suoi problemi di salute, mentre cercava di realizzare il proprio modo di guardare alla vita, coltivando i suoi studi, i suoi amici, i suoi amori. Soprattutto ci affiancammo a lui nella sua esigenza primaria di superare le angustie della riduzione al privato dei suoi problemi, per farne un problema più vasto, che riguardava anche altri.