«L’esistenza della Fondazione l’ho scoperta tramite una ragazza fibrocistica, che ho conosciuto in ospedale – racconta Katia. Lei mi ha dato delle dritte. Avevo sempre voluto fare qualcosa a sostegno della ricerca», così, quando si è creata l’occasione, Katia non se l’è lasciata sfuggire. Ha iniziato a darsi da fare e ha incontrato una solidarietà impensata. «Ero sola e ora ho trovato altre persone. All’inizio mi hanno appoggiata cugine e amiche. Spero sempre di crescere di più perché più si è e meglio è» dice. «Non è sempre facile esporsi. Ci fu una persona che mi fece rimanere molto male. In piazza urlò che le onlus s’intascano i soldi. Poi la pianta la prese però». Bisogna prepararsi a ribattere con i fatti, altrimenti si rischia di subire la rabbia che tanti scandali non hanno fatto che amplificare.
Katia fa la parrucchiera, ha 33 anni e un animo gentile; quanti vorranno aggiungersi per darle una mano saranno i benvenuti: «scegliere di scommettere sulla ricerca è anche un modo per aiutare le nuove generazioni – spiega. Magari tutti coloro che sono toccati direttamente o indirettamente dalla malattia si dessero da fare». I numeri crescerebbero e con loro la visibilità per una malattia che resta ancora difficile da raccontare.
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