Sono tante le persone che non conoscono la fibrosi cistica. Tanti i genitori che ricevono una diagnosi alla nascita di un bimbo. Così è stato per me nel 2008, quando è arrivato Andrea. Ti trovi a dover imparare e approfondire, per essere quanto più consapevole nell’affrontare una quotidianità inaspettata.
Senza dubbio gli ospedali e i centri fanno il loro nel dare informazioni, ma come tutte le mamme e i papà ci siamo catapultati fin da subito online per cercare più voci, più notizie, per scoprire cosa stava facendo la ricerca scientifica in Italia e nel mondo per risolvere questa malattia ancora così poco conosciuta. È stato breve il passo per identificare nella Fondazione una voce autorevole e un punto di riferimento: le “Domande e risposte”, le esperienze di altri genitori e le storie di famiglie come la nostra… Per molto tempo siamo stati semplicemente fruitori della grande “enciclopedia” FFC, poi il primo approccio con il responsabile della Delegazione di Roma dell’epoca, Francesco. All’inizio ho dato una mano con la vendita dei biglietti per uno spettacolo teatrale, poi sono arrivati i ciclamini e via via attività in più. È una cosa che, in senso buono, ti esplode tra le mani: inizi con gli amici e le persone vicine, ti apri agli altri, ti racconti, e il passaparola ti sostiene.
Mi ci sono voluti otto anni, tuttavia, per farmi coraggio e venire a Verona per partecipare al Seminario e al Raduno nazionale FFC. Temevo che emotivamente sarebbe stato pesante incontrare tante persone e sentire le loro storie, comprese quelle di chi aveva già perso un figlio nella battaglia con la fibrosi cistica. La nostra famiglia vive con un approccio positivo, sicuri che la ricerca troverà una soluzione, senza lasciare spazio alla paura.